La Valpolicella

In Valpolicella il profondo legame tra vite e territorio  ha origini antichissime. La più antica attestazione della coltivazione della vite rimanda al V secolo a.C. per il ritrovamento, nell’abitato preromano di Archi di Castelrotto, di numerosi vinaccioli di vite vinifera.

Secondo gli storici il nome “Valpolicella” deriverebbe dal latino “Vallis-polis-cellae” che significa “Valli dalle molte cantine”. Teoria avvalorata anche dal fatto che i vini da noi attualmente conosciuti, il Valpolicella, l’Amarone ed il Recioto, sono indicati come discendenti del vino “retico” romano.

Il nome della Vitis raetica deriva dal toponimo Raetia, regione che dal Danubio si estendeva in età romana al Canton dei Grigioni e comprendeva il Tirolo e la Lombardia fino a Verona. Numerosi sono gli autori che citano la vite e i vini di tale vitigno: intorno alla metà del II sec. a.C. Catone tesse le lodi dell’uva retica mentre Svetonio, parlandoci della vita privata dell’imperatore, dice che quel “vino retico” piaceva particolarmente ad Augusto. Marziale che lo conservava, forse per l’invecchiamento, in un’anfora, ne indica la provenienza dalle terre del dotto Catullo e quindi da Verona.

La più bella lode del vino veronese è però quella scritta da Cassiodoro (490-593 d.C.), ministro di Teodorico, re dei Visigoti, che in una lettera descrive un vino ottenuto con una speciale tecnica di appassimento delle uve, chiamato allora Acinatico, il cui nome deriva dall’acino (Acinaticum, cui nomen ex acino est, …), prodotto in quel territorio denominato Valpolicella.

…rosso come la porpora o bianco come i gigli fragranti, nobile e denso…  vino puro dal colore regale e dal sapore speciale, cosicché tu pensi o che la porpora sia tinta dal vino stesso o che il suo limpido umore sia spremuto della porpora ...la dolcezza di esso si sente con soavità incredibile, si corrobora la densità per non so qual fermezza, e s’ingrossa al tatto in modo che diresti un liquido carnoso, o bevanda da mangiare...

Ogni dubbio che si tratti di uno stretto parente dell'attuale recioto svanisce quando, sempre dalla stessa prosa latina di Cassiodoro, apprendiamo anche i metodi di lavorazione di questo passito:

L'uva scelta d'autunno nelle vigne dei pergolati domestici viene appesa capovolta e si conserva nei suoi recipienti naturali. Si appassisce, non corrompe per la vecchiaia, e trasudando gli insipidi umori si addolcisce con grande soavità. Si conserva fino al mese di dicembre, finché la stagione invernale completa l'essiccazione, e in modo mirabile in cantina si ha un vino nuovo mentre in tutte le altre si incontra un vino vecchio

Gli scavi nei pressi della villa romana (II-III sec. d.c.) in località Ambrosan, tra S.Pietro in Cariano e Fumane, con il ritrovamento di alcuni locali muniti di un sistema di riscaldamento sotto la pavimentazione (ipocausto) riservati all’essicamento delle uve per la produzione del vino retico sono la conferma che la tecnica dell’appassimento era molto diffusa già presso i romani.

Anche il re longobardo Rotari, nel famoso Editto del 643 d.c., per ben cinque volte legifera sulla necessità di proteggere la vite e la sua coltivazione.

Innumerevoli nei secoli sono le citazioni e le lodi a questo territorio ed ai suoi vini. Scipione Maffei (1675-1755) descrive nell’opera "Verona illustrata” la tecnica di vinificazione da uve appassite e ne descrive come “amaro” il vino secco che se ne otteneva, il che testimonia la radice etimologica dell’ “amarone”. Nell’ottocento Giuseppe Beretta, scrittore veronese, citando il recioto dice:Da queste rive / io più non parto/ qui si distilla un balsamo / dolce potabile / che i nervi e viscere / d’ogni antichissimo /male acerbissimo / presto delibera…..

Berto Barbarani, uno dei più noti tra i poeti veronesi dell’inizio del ventesimo secolo, nel 1906 elogia il nostro vino e il nostro territorio:

…. Come elogiare le virtù di questo vino che ha il colore delle albe e dei tramonti, che è saggio ed eloquente come Nestore, lirico come Orazio e Catullo, malinconico come l’Aleardi, arguto come le poesie di Cesare e Vittorio Betteloni?

Come non ricordare infine il giornalista e storico Giuseppe Silvestri nella sua monografia:

…. Non lo splendore del paesaggio, non gli eventi della storia, non i monumenti dell’arte, non i canti dei poeti, ha servito a render nota la Valpolicella quanto il suo prodotto tipico: il vino.
 

I nostri vini

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